La fede secondo don Gnocchi

Il 16 ottobre 2011, a conclusione del Primo Congresso Mondiale “Nuovi Evangelizzatori per la Nuova Evangelizzazione”, promosso dal Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione, ho avuto la gioia di essere presente nella Basilica di San Pietro quando Benedetto XVI ha annunciato l’indizione del “Anno della Fede”. Il Santo Padre aveva già detto nell’Omelia della Messa per l’inizio del Pontificato che “la Chiesa nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” E nella sua lettera apostolica “Porta Fidei”, al punto 7, si legge che: “in ogni tempo Egli (Cristo) convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede.”

Per noi laici, un sacerdote dovrebbe essere un uomo di fede per antonomasia così da essere automaticamente in grado di suscitare la fede nelle persone che incontra. Ma, chi è in grado di definire in cosa consiste la fede e chi può vantarsi di non averla mai persa?

A questo proposito vorrei riportare lo stralcio di un articolo pubblicato su La Fiaccola, nel quale mons. Giovanni Barbareschi ci spiega cosa significava la fede per don Carlo Gnocchi, il beato presbitero che si adoperò in modo eroico per alleviare le piaghe di sofferenza e di miseria causate dalla guerra.

Quando dovevamo parlare della fede, don Carlo mi aveva consigliato di prendere dal suo studio un libro con le poesie di Trilussa, il poeta dialettale romano, morto qualche anno prima di don Carlo. Trilussa in una poesia (che io non conoscevo, ma che ora non perdo mai occasione di ripetere, perché sento vivo dentro di me il ricordo di don Carlo) intitolata La Guida descrive l’avventura di un giovane che si è perso in un bosco, il bosco della vita e non sa dove andare e non trova la strada, quando incontra una vecchietta cieca che gli dice: «Se tu non sai la strada, io la so, se vuoi te la indico io, te la suggerisco io». Dice il poeta: «Quela Vecchietta ceca, che incontrai / la notte che me spersi in mezzo ar bosco, / me disse: – Se la strada nu’ la sai, te ciaccompagno io, ché la conosco. / Se ciai la forza de venimme appresso, / de tanto in tanto te darò una voce / fino là in fonno, dove c’è un cipresso, / fino là in cima dove c’è la Croce…».

Carlo si ferma e mi dice: «Cipresso: la morte; croce: il dolore. Sono le due uniche, vere difficoltà per ogni atto di fede: il dolore e la morte… Le altre sono tutte quisquiglie…».

Sentiamo ancora il poeta: « Se ciai la forza de venimme appresso, / de tanto in tanto te darò una voce / fino là in fonno, dove c’è un cipresso, / fino là in cima dove c’è la Croce… – / Io risposi: – Sarà… ma trovo strano / che me possa guidà chi nun ce vede… – / La Ceca, allora, me pijò la mano / e sospirò: “Cammina”… Era la Fede».

Questa era la fede per don Carlo: la cieca che di tanto in tanto ti dà una voce. Quel giorno don Carlo aveva voluto che io portassi anche una novella di Pirandello, dove si parla di un prete, don Angelino, che aveva perso la fede e non voleva più celebrare. Entrando in sacrestia trova una vecchietta che porta due galletti, qualche soldo e una bisaccia piena di mandorle secche e di noci. La vecchietta voleva far dire una Messa per mantenere un voto fatto quando suo figlio era ammalato di una malattia mortale. Dice Pirandello che don Angelino andò a celebrare con la fede di quella donna. Si è portati dalla fede, la fede non è mai solo del singolo, anche del singolo, ma non solo del singolo. Quando alla domenica celebro a Milano nella chiesa di San Pio V, io sento viva la fede di tutto il popolo: la fede della vecchietta, la fede del miscredente, la fede di colui che ha bestemmiato, la fede degli altri. E celebro così, aiutato dalla fede degli altri. Don Carlo commentava: «Certe volte sono andato a celebrare con la fede della mia mamma».

(Mons. Giovanni Barbareschi, “Ricordi di don Gnocchi. La fede tutto scusa, tutto perdona, tutto capisce” La Fiaccola – n°2/2010, p. 12)

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